Generazioni che si incontrano sul posto di lavoro, trasmettendosi reciproci insegnamenti. Cos’è il reverse mentoring e perché può migliorare il mondo del lavoro per i più giovani.
Un senior manager che impara concetti di informatica dal nuovo assunto. Uno junior che impara dal suo responsabile come muoversi in azienda con diplomazia. Se volessimo riassumerlo all’osso, sarebbe questo il concetto di reverse mentoring: letteralmente, tutoraggio inverso. Due (o più) generazioni che si incontrano e imparano reciprocamente l’una dall’altra, in ambiti diversi e integrando le loro competenze tecniche e non.
Sono quattro, in effetti, le generazioni che allo stato attuale lavorano insieme: Baby Boomers, GenX, GenY e GenZ. E ignorare le grandi differenze culturali e di mentalità che le rendono diverse tra loro non è più accettabile da parte di un’azienda che voglia evolvere nel tempo.
Il ruolo del mentore in azienda
Il concetto di Reverse mentoring, sempre più utilizzato all’interno dei contesti aziendali più flessibili e orientati all’innovazione, è in effetti l’evoluzione di un altro concetto base, ben noto al mondo del lavoro: quello del mentoring. Un mentore non è altro che una figura di riferimento cui la risorsa più giovane, o meno esperta, si appoggia per acquisire conoscenze: è una guida, in sostanza, che facilita al neoassunto l’ingresso in azienda e lo supporta nel processo e nelle dinamiche che lo compongono.
Ma cosa succede quando sono le risorse più esperte a dover imparare un nuovo processo o tool? Cosa succede se le giovani generazioni sono le detentrici di una conoscenza di cui possono beneficiare anche le generazioni successive? Che il sistema inverte i suoi termini: così non è più la risorsa più “anziana” a fare da mentoring alla più giovane, ma il contrario: la nuova generazione si trova quindi a colmare il gap di conoscenze che l’altra, pur con la sua expertise, non sarebbe in grado di fronteggiare.
Reverse mentoring: i benefici
Il reverse mentoring, in sostanza, nasce per colmare il cosiddetto skills shortage, ma ha una lunga lista di effetti e benefici secondari:
- Maggiore coinvolgimento delle giovani generazioni all’interno dell’azienda;
- Formazione interna continua;
- Creazione di un ambiente collaborativo, in cui ci si senta in potere di esprimere le nuove idee ad ogni livello della gerarchia aziendale;
- Cooperazione e coesione all’interno dei team
- Comprensione intergenerazionale
- Crescita aziendale delle nuove generazioni, che si sentono protagoniste del cambiamento e si accorgono che l’azienda è disposta a investire su di loro.
In un contesto lavorativo in cui la GenZ valuta un’azienda non sulla base del suo nome, ma dei suoi valori e della sua reputazione, il reverse mentoring non è qualcosa che le aziende possano ignorare a lungo, soprattutto nell’ottica della retention.
Un’azienda che investe sulle sue risorse più giovani deve valutare un approccio che non sia solo top-down ma anche bottom-up. E, soprattutto, deve superare il pregiudizio di considerare l’età come direttamente proporzionale alla competenza.
Se per la GenZ i valori sul lavoro sono completamente cambiati, al punto che la scelta del posto di lavoro passa per criteri completamente differenti rispetto al passato, ecco che la possibilità di far sentire la propria voce all’interno del contesto lavorativo diventa essenziale e può fare la differenza nel sentirsi parte dell’azienda. Questo vale anche per i Millennials, sempre più interessati a prendere parte a programmi di employer branding – dove, cioè, gli impiegati diventano portavoce volontari dell’azienda per cui lavorano – e alla relazione mentor-mentee, per sviluppare abilità di comunicazione ed essere coinvolti in nuovi progetti, portando un valore aggiunto in azienda.
Che si tratti di un reverse mentoring in presenza, online o misto, poco importa: ciò che conta è che i programmi che coinvolgono più generazioni vengano portati avanti con coerenza e struttura, seguendo gli obiettivi dell’azienda e tenendo conto di possibili bias e delle skills del mentee.
Il reverse mentoring, quindi, oltre ad essere un sistema efficace per rendere – dal punto di vista aziendale – un ambiente di lavoro più produttivo, sereno e collaborativo, è anche – per chi cerca lavoro – un ottimo plus per scegliere un’azienda rispetto ad un’altra. Un vantaggio competitivo, insomma, da non sottovalutare nell’epoca in cui i valori iniziano a contare molto più dei nomi.